L’art. 524 del Codice Civile consente ai creditori di impugnare la rinuncia all’eredità fatta dal proprio debitore. Approfondiamo questa tema con una piccola premessa proprio sulla rinuncia all’eredità, già oggetto di vari contributi sul nostro sito.
Quando una persona muore, chi è chiamato all’eredità può accettare o rinunciare. La rinuncia all’eredità è l’atto con cui il chiamato dichiara di non voler subentrare nei rapporti patrimoniali del defunto, rifiutando così diritti e obblighi che ne derivano. Si tratta di un atto formale, che deve essere ricevuto da un Notaio o dal Cancelliere del Tribunale del luogo di apertura della successione (art. 519 c.c.).
Rinunciare può essere utile, ad esempio, quando il patrimonio del defunto è gravato da debiti: in questo modo si evita di risponderne con il proprio patrimonio personale. Tuttavia, questa scelta può incidere anche sui diritti dei creditori del rinunciante.
Infatti L’articolo 524 del Codice Civile tutela i creditori del soggetto che rinuncia all’eredità, ed in particolare dispone che:
“Se taluno rinunzia, benché senza frode, ad un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante.”
In sostanza, i creditori del rinunciante possono impugnare la rinuncia e chiedere al giudice di essere autorizzati ad accettare l’eredità in sua vece, quando la rinuncia arreca pregiudizio ai loro diritti.
Non si tratta di un’accettazione in senso pieno: i creditori non diventano eredi, ma possono realizzare sui beni ereditariquanto necessario per il soddisfacimento dei propri crediti.
Quali sono i requisiti per l’impugnazione? Affinché i creditori possano agire, devono sussistere alcune condizioni:
Esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del rinunciante.
Atto di rinuncia compiuto dal debitore che arrechi pregiudizio alla possibilità di soddisfarsi sul patrimonio ereditario.
Autorizzazione del giudice: l’accettazione dell’eredità da parte dei creditori richiede un decreto del Tribunale del luogo di apertura della successione
Azione entro cinque anni dalla rinuncia (termine previsto dall’art. 525 c.c. per la revocabilità della rinuncia)
Una volta autorizzati dal giudice, i creditori accettano l’eredità in nome e per conto del rinunciante. Gli effetti sono tuttavia limitati:
L’accettazione vale solo a favore dei creditori che hanno promosso l’azione
I beni ereditari non entrano nel patrimonio del rinunciante, ma servono esclusivamente a soddisfare i creditori impugnanti
Dopo l’esecuzione forzata o la liquidazione dei beni ereditari, l’eventuale residuo resta escluso dal patrimonio del debitore
In pratica, la legge consente ai creditori di “neutralizzare” la rinuncia, ma solo nei limiti del loro interesse economico.
“Immaginiamo che Tizio, debitore di 100.000 euro verso la banca, rinunci all’eredità del padre che lascia un patrimonio di 80.000 euro. Se la banca dimostra che quella rinuncia la priva della possibilità di recuperare il credito, può chiedere al Tribunale di essere autorizzata ad accettare l’eredità in nome di Tizio. I beni ereditari potranno così essere venduti e il ricavato utilizzato per soddisfare, almeno in parte, il credito vantato.”
È quindi fondamentale che chi intende rinunciare sia pienamente consapevole delle possibili conseguenze nei confronti dei propri creditori, poiché l’impugnazione prevista dall’art. 524 c.c. può essere esercitata solo dai creditori del rinunciante, quando la rinuncia arrechi pregiudizio alle loro ragioni.
I creditori del defunto, invece, non possono impugnare la rinuncia fatta dal chiamato, ma possono – se ne ricorrono i presupposti – contestarne la validità, ad esempio sostenendo che il rinunciante abbia compiuto atti idonei a integrare un’accettazione tacita dell’eredità.
L’art. 524 c.c. rappresenta un delicato equilibrio tra la libertà del chiamato all’eredità e la tutela dei suoi creditori personali.
Chi abbia debiti in corso e venga chiamato a una successione dovrebbe agire con prudenza, informandosi preventivamente sugli effetti della rinuncia e sui rimedi previsti dalla legge, per evitare impugnazioni da parte dei propri creditori o contestazioni sulla validità dell’atto.
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