Contribuenti, celebri – come il noto Roberto Benigni, attore, suo malgrado, non della tipologia a lui più confacente nel caso di specie – e non, continuano ad interrogarsi sulla tassazione della cessione di una quota rappresentativa dell’intero capitale di una società rinveniente da un conferimento d’azienda ed a scontrarsi con l’Agenzia delle Entrate che, nonostante predenti giurisprudenziali costanti, sembra perpetrare nel tentativo di riqualificare tali contratti, assoggettandoli, di riflesso, ad un’imposizione fiscale più gravosa.
Come anticipato, il caso in esame – deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 6 luglio 2025 n. 18374 – in aderenza ai precedenti (Cass. 21 settembre 2021, n. 25601; Cass. 30 novembre 2023, n. 33368; Cass. 22 febbraio 2024, n. 4798), interessa la cessione di partecipazioni societarie — in particolare quelle relative a quote di maggioranza, o alla totalità delle quote, di una S.R.L. — soprattutto ove il contratto includa garanzie relative al bilancio o all’attendibilità delle scritture contabili e in particolare quando preceduto da un conferimento d’azienda.
Secondo l’Agenzia, infatti, sarebbe celato il vero scopo del contratto volto, non a trasferire semplicemente la quota, bensì l’azienda sottostante o, addirittura, immobili da essa detenuti.
Sulla scorta di tale supposizione, non sono esigui i casi in cui siano arrivati avvisi mirati a segnalare l’errato versamento di un’imposta fissa di registro – euro 200,00 ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, Parte I, del d.P.R. 131/1986) – in luogo di un’imposta proporzionale, variabile tra il 3% e il 15%, ai secondo dell’art. 1 della medesima Tariffa, calcolata sul corrispettivo pattuito o sul valore dell’azienda o dell’immobile, se superiore.
A ciò aggiungendo le imposte ipotecaria e catastale (art. 13 d.lgs. 347/90), tema che necessariamente riporta ad un’altra celebre pronuncia, la n. 31595 del 9 dicembre 2024.
Secondo l’Agenzia “L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.”.
Principio in parte condivisibile ma che trova un preciso limite nella riforma del 2018 – art. 1 comma 87 della legge 205/2017 – la quale ha chiarito che la riqualificazione può avvenire solo sulla base del contenuto testuale dell’atto, escludendo espressamente ogni riferimento a elementi extratestuali o semplicemente connessi.
La Cassazione – in perfetta aderenza al dettato normativo – ha ribadito più volte tale assunto, in una giurisprudenza definibile ormai consolidata.
Nella sentenza in commento – Cass. 6 luglio 2025 n. 18374 – la Corte ha sottolineato ancora una volta che la riqualificazione, ai sensi dell’art. 20 TUR, deve basarsi solo sugli effetti giuridici dell’atto, non su quelli economici, ribadendo l’autonomia, sul piano giuridico, tra la cessione di quote — anche totalitaria — e la cessione d’azienda: due operazioni distinte, con effetti differenti e, viene naturale evidenziare, soprattutto, una disciplina fiscale diversa.
Come ha, inoltre, precisato la Suprema Corte, un insieme di atti connessi può produrre un vantaggio fiscale per il contribuente ma ciò non implica automaticamente un comportamento abusivo o in contrasto con i principi del sistema tributario.
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