CASSAZIONE RINUNCIA ALLA PROPRIETA’

da | 31 Ago 2025 | immobiliare | 0 commenti

E’ giunta finalmente la parola “fine” all’annosa querelle relativa all’ammissibilità dell’istituto della rinuncia alla proprietà (su un immobile) nel nostro ordinamento. La Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite 11 agosto 2025 n. 23093 ha infatti affermato – ogni dubbio superato – che la rinuncia alla proprietà è assolutamente lecita.

E’ bene ricordare – prima di entrare nel merito del provvedimento – che la rinuncia alla proprietà è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina.

La tesi maggioritaria – a cui anch’io ho da sempre aderito, con contributi in materia anche in questa sede – la riteneva assolutamente legittima, partendo da un presupposto più di buon senso che di diritto: se io posso disporre di un diritto.. posso anche rinunciarvi.

Nel debattito era intervenuta anche l’Avvocatura di Stato la quale – paventando un aggravio di oneri a carico dell’Erario – ha cercato di ostacolare la possibilità da parte dei privati di procedere alla rinuncia alla proprietà su un immobiliare. Con immediato commento avevo segnalato come tale posizione mi pareva poco sostenibile.

Ora però, come sopra anticipato, è tutto finito: la rinuncia alla proprietà è lecita e legittima, la Cassazione (a Sezioni Unite, sottolineo) l’ha confermato, delineando alcuni principi centrali, che – a mio avviso – vanno oltre la (seppur importante) questione in oggetto.

In primo luogo gli Ermellini hanno ricordato come già in passato incidentalmente la Suprema Corte aveva affrontato la questione “dandone sempre per scontata l’ammissibilità, salvo il rispetto dei requisiti formali“: in breve, la giurisprudenza nel dibattito aveva già chiarito quale fosse la soluzione corretta.

Entrando nel merito giuridico la Corte di Cassazione valorizza in seno all’art. 832 Codice Civile il “diritto di disporre e di godere” che spetta al proprietario. Si confronta quindi tale diritto con il dettato dell’art. 42 della Corte Costituzionale, per cui “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti“. Sul punto la sentenza in oggetto giunge ad un’affermazione fondamentale e cioé:

Dalla cornice ordinamentale non emerge, dunque, un generale potere-dovere del proprietario di esercitare i suoi poteri in maniera ‹‹funzionale›› al sistema socio-economico: il godimento del bene resta forma di esercizio del diritto di proprietà appartenente al titolare per il soddisfacimento di un interesse patrimoniale da lui disponibile

In breve, ci possono essere limiti (espressamente previsti dall’ordinamento) in capo ai singoli proprietari, ma c’è un generale obbligo di soddisfare con i propri beni interessi generali: il singolo proprietario legittimamente può perseguire il proprio personale profitto.

Il passaggio successivo del ragionamento è chiaro: nella facoltà di godere e disporre rientra anche quella di potere procedere alla rinuncia al diritto di proprietà?

La risposta è – ovviamente – positiva, tanto che la Corte stessa afferma:

La rinuncia costituisce forma di espressione del potere di disposizione del proprietario che non è soggetta dalla legge ad alcun espresso limite di scopo

la quale

‹trova causa››, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa

con alcuni corollari particolarmente interessanti.

Dal punto di vista di struttura e forma la Cassazione evidenzia come la rinuncia alla proprietà sia “atto essenzialmente unilaterale, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto“, escludendosi quindi la recettizietà dello stesso.

Certamente essendo atto che ha ad oggetto diritti reali immobiliari occorre che lo stesso si perfezioni per atto pubblico o scrittura privata autenticata, da trascrivere ai fini dell’opponibilità (aggiungo io: generale) ai terzi, ma senza che debba “rivolgersi ad una determinata persona perché ne abbia conoscenza, seppure si tratti di “persona interessata alla rinuncia.

In breve l’atto è lecito e perfetto con la solo sottoscrizione dello stesso, senza oneri comunicativi ai fini dell’efficacia ad altri interessati, in primis (a breve torneremo sul punto) eventuali altri comproprietari. Gli Ermellini tuttavia evidenziano altresì come:

la prescrizione di un onere comunicativo in capo al rinunciante, che si aggiunga all’adempimento dell’onere della trascrizione, inerisce non al campo delle regole di validità e di efficacia della rinuncia, su cui si incentrano le questioni di diritto oggetto dei rinvii pregiudiziali e da risolvere in questa sede, giacché necessarie alla definizione dei processi a quibus, quanto a quello delle regole di comportamento, che possono essere soltanto fonte di eventuale responsabilità.

In sintesi: la rinuncia è valida e perfetta, ma è opportuno darne notizia ad eventuali terzi interessati (si pensi altri comproprietari) per evitare responsabilità di altro genere (si pensi, banalizzo e provo ad esemplificare, al soggetto che comproprietario con altri per anni – solo – si è occupato della manutenzione di un fondo e poi improvvisamente rinuncia alla sua quota dello stesso, avendo gli altri maturato affidamento che le opere conservative necessarie continuino ad essere dal medesimo curate e invece ciò non avvenga, con danno extracontrattuale per terzi a causa dell’incuria del fondo). Nel caso, suggerisco, è sufficiente trasmettere con raccomandata (o pec) copia dell’atto notarile.

La sentenza in commenti tratta del caso della rinuncia alla proprietà in cui beneficiario (così possiamo definirlo) della proprietà rilascata dell’immobile sia lo Stato. Ma la ricostruzione fornita vale anche nell’ipotesi di rinuncia alla comproprietà?

Certamente, perché le argomentazioni delineate a supporto sono – possiamo dire – universali, ed in particolare mi riferisco all’asserzione per cui non occorre che “alcun altro soggetto controinteressato alla rinuncia ne abbia conoscenza o vi presti assenso“, e – come sopra ricordato – non occorre l’atto di altri contraenti.

Ovviamente in questo scenario – sottolineo – emerge tuttavia con ancora maggiore centralità l’opportunità di darne notizia all’altro comproprietario affinché lo stesso possa agire tempistivamente a propria tutela, anche procedendo ad ulteriore rinuncia (a favore, da ultimo, dello Stato).

Ma allarghiamo, infine, il perimetro della questione. Se è ammessa la rinuncia alla proprietà immobiliare non può che essere consentita anche la rinuncia alla proprietà (diciamo: titolarità) di una quota societaria. Il tema non è così banale perché capitano casi di società (di persone) in cui uno dei due soci “scompare” (in genere cittadino straniero che torna al proprio paese d’origine) e quello che invece rimane in Italia si trova “ostaggio della partecipazione”, non potendo sciogliere la società (manca l’altro socio) o cedere la quota. 

Ecco quindi che la rinuncia alla partecipazione può diventare lo strumento idoneo per liberare il socio “reperibile”: sarà poi il Registro Imprese a dovere procedere alla cancellazione d’ufficio della società  secondo le regole ordianrie ove la stessa rimanga inattiva per anni.

Fabio Cosenza

Notaio

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