Il tema della conformità catastale e del suo impatto ai fini della validità di un atto di compravendita immobiliare è stato oggetto di molteplici contributi (anche video) su questo sito.
Si ricorda in particolare e per quanto qui ci interesserà – giusto per richiamare la materia – come negli atti comportanti il trasferimento, la costituzione ovvero lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti sia necessario che la parte cedente (o i comproprietari in ipotesi di divisione) dichiarino che vi sia la cosiddetta conformità catastale fra lo stato dei luoghi e i dati catastali.
In breve e semplificando chi vende deve dichiarare – e ciò viene riportato in atto – che l’immobile è esattamente come da planimetrie depositate in Catasto.
L’assenza di questa dichiarazione in atto determina la nullità dello stesso.
La nullità – si comprende facilmente – è una conseguenza non banale e tale da creare un importante vulnus nella certezza dei traffici giuridici. Per questo motivo – e complice anche l’opera di sensibilizzazione del Notariato sul punto – venne introdotta nel 2017 la possibilità di confermare gli atti nulli per per carenza delle menzioni relative alla conformità catastale.
La novità normativa fu allora salutata da tutti con grande favore ma ancora rimaneva un grande interrogativo di fondo: che cosa accade quando la dichiarazione in atto sia presente ma nella realtà dei fatti risulta mendace?
Più banalmente: se il venditore dichiara che vi è conformità catastale ma ciò non sia vero, l’atto è valido o è nullo? La nullità di cui parla la norma (entrando nel tecnico) è quindi di natura formale (si verifica solo in assenza della dichiarazione in atto) o sostanziale (si verifica anche in presenza di dichiarazione ma mendace)?
Il tema – si comprende subito – è centrale e da trattare con prudenza, perchè il rischio è, in presenza di dichiarazioni mendaci (anche in buona fede), di avere atti nulli, con tutto ciò che poi ne consegue anche per le future rivendite.
La dottrina (oso dire: maggioritaria) e anche il Consiglio Nazionale del Notariato ha da subito sposato la tesi della nullità formale, cioé che in presenza di dichiarazione mendace l’atto sia comunque valido, fermi restando i profili risarcitori, come illustravo in questo articolo di pochi mesi fa.
Tuttavia la dottrina non è legge e io stesso ho sempre invitato tutti i clienti a grande attenzione e cautale sul punto, in attesa di ulteriori sviluppi normativi o giurisprudenziali.
E finalmente pare giunto un primo riscontro, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 27531 in data 15 ottobre 2025 che ha sposato la tesi della nullità formale, chiarendo quindi che l’atto è valido anche in presenza di una dichiarazione falsa.
Gli Ermellini (si tratta della Seconda Sezione) pongono però almeno un paletto: non deve trattasi di falsità palese, rilevabile quindi ad occhio nudo anche da chi non ha competenze in materia,
La pronuncia evidenzia altresì come la normativa in materia abbia natura fondamentalmente fiscale e in ipotesi di dichiarazioni mendaci gli strumenti a tutela dei contraenti sono quelli “classici” risarcitori, cui si aggiungono i profili sanzionatori di competenza della Pubblica Amministrazione.
In conclusione ed in attesa di fornire un ulteriore approfondimento sulla sentenza anche all’esito dei primi commenti, più certezza per i trasferimenti immobiliari, ma la conformità catastale (ed edilizia, aggiungo) non deve comunque mancare.
Notaio
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