La guerra dell’olio

da | 2 Lug 2016 | politica

Il 29 giugno la Camera dei Deputati ha approvato l’art. 1 del disegno di legge “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge europea 2015”, con cui si interviene – nettamente – nel settore della commercializzazione (e conseguentemente, a monte, della produzione) dell’olio d’oliva.

In particolare, il provvedimento, che, dopo il sì del Senato già raccolto ad aprile, è destinato a diventare legge, elimina l’indicazione in etichetta della data di imbottigliamento, sostituita da una generica definizione “da consumare preferibilmente entro…”, a cura e discrezione del produttore, nonché sopprime il colore (cosiddetta cromatura) differente delle etichette delle miscele di oli comunitari per distinguerli da quelli made in Italy, a favore di una visivamente meno chiara indicazione stampata con inchiostro indelebile.

Vantaggi per il consumatore? Nessuno: si rende più difficoltosa la tracciabilità del prodotto e si aumenta il rischio di ritrovare sugli scaffali olio “risalente”, non scaduto ma con una progressiva perdita delle proprietà organolettiche.

La norma, in breve, finisce per favorire i grandi produttori, in particolare stranieri ma anche nazionali, che possono “travasare” le proprie scorte invendute, indicando a propria discrezione date in cui è preferibile consumare l’olio, con una plausibile diminuzione dei costi finali, a danno dei protagonisti di dimensioni più contenute sul mercato che faticheranno a reggere la concorrenza interna ed esterna. Un sguardo d’insieme si rende opportuno.

Di certo, l’industria olearia italiana – che vale tre miliardi di fatturato – risulta da tempo oggetto di attenzioni straniere, normative e non, che non sembrano aiutarla.

Il primo durissimo colpo è arrivata dalla sfortunata epidemia di Xylella che ha tormentato – e ancora affligge – gli ulivi pugliesi. Non si vuole dare in questa sede spazio alle tesi complottistiche che suggeriscono una dolosità umana dettata da interessi ora agricoli (produttori d’oltralpe) ora petroliferi (agevolare il percorso del TAP – Trans Adriatic Pipeline); di certo il danno diretto (con i necessari sradicamenti, unica cura possibile ad oggi) ed indiretto (d’immagine) è stato devastante.

Bisogna tuttavia evidenziare che – nel mentre – i nostri produttori continuavano a raccogliere, non nei banconi dei supermercati ma negli studi dei professionisti che si occupano di fusioni ed acquisizioni, grande interesse: Bertolli, Carapelli e Salov sono solo alcuni dei più importanti nomi italiani del settore finiti – negli ultimi anni – in mani straniere. Un altro pezzo del made in Italy in cui il tricolore si è ammainato.

In tutto questo, a dare l’ennesimo (o forser il definitivo?) colpo al settore è intervenuto il Parlamento Europeo che a marzo, in misura plenaria, ha approvato l’eliminazione dei dazi per le importazioni dell’olio tunisino fino alla – non modesta – quantità di 90.000 tonnellate l’anno (nel nostro Paese, per dare un metro di paragone concreto, la produzione nei dodici mesi ammonta a circa 570.000 tonnellate). La decisione, alimentata dalla volontà di aiutare un Paese amico (fino a quando? si potrebbe aggiungere, memori delle vicende geopolitiche della regione) provato dai terribili fatti di terrorismo a tutti noti, ha scatenato infinite polemiche, che hanno coinvolto anche gli europarlamentari italiani che hanno votato a favore del provvedimento.

La sede non si presta a commenti politici, poiché la volontà è dare aggiornamenti ed analisi giuridiche, e quindi non mi spenderò sulle motivazioni (e sulla bontà delle stesse) che hanno spinto in questa decisione. Tuttavia non ci si può esimere da una valutazione complessiva.

Il quadro tratteggiato – con i vari elementi delineati – ben chiarisce come l’industria olearia italiana stia vivendo un momento di enorme difficoltà. Ai piccoli produttori non si può che consigliare – nell’immediato periodo – di sfruttare strutture organizzative e societarie che possano permettere una contrazione dei costi, una migliore gestione di tutte le fasi dell’attività (in particolare distribuzione e pubblicità) e soprattutto un positivo affaccio al mercato straniero. Consorzi, cooperative, reti d’impresa, sono solo alcuni dei primi strumenti da suggerire. Sul breve periodo (breve! non medio, poiché “tempus fugit”, e che non si vada oltre, in quanto “nel lungo termine siamo tutti morti”), tuttavia, il passo decisivo deve – come sempre – venire dalla politica. Incentivi da un lato e un serrato confronto in sede comunitaria per reintrodurre dazi e caratterizzazioni territoriali devono essere gli obiettivi che ogni persona – con responsabilità e che ha cura tutta l’agricoltura nazionale – deve perseguire. Nel caso Tunisia, in particolare, si può anche condividere la visione di sostenere sul piano commerciale un Paese impegnato nella lotta contro il terrorismo (nemico globale) ma dobbiamo anche chiederci perché il prezzo debba essere per l’ennesima volta pagato da Italia e Spagna, principali produttori d’olio europei, nazioni già duramente colpite dalla crisi ed uniche che subiranno concretamente gli effetti dell’enorme aumento della quota d’importazione.

Il nostro Premier ha recentemente detto: “Nostre battaglie in Ue non erano per l’interesse dell’Italia, ma perché ritenevamo fossero interesse dell’Europa”: per la salvezza di un intero settore produttivo gli si chieda ora di tutelare gli interessi nazionali.

Fabio Cosenza

Notaio

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  1. Tra TTIP e CETA | Notaio Fabio Cosenza - […] possa essere compensato dalla caduta di alcuni dazi. In breve, dopo l’olio (a cui rimando) potremmo perdere formaggi, frutta,…