In Francia si divorzia dal Notaio, in Italia si va al TAR

da | 8 Gen 2017 | famiglia, notariato, politica

Nella Russia comunista bastava una cartolina; la “Lex de ordinibus maritandis” voluta da Augusto lasciava ampia libertà, a patto che vi fossero sette testimoni; l’introduzione nell’Italia moderna passò, ad inizio anni ’70, fra una contesta guerra ed un durissimo confronto referendario: stiamo, ovviamente, parlando del divorzio, istituto che, fra diritto, etica e religione, sempre più divide (e non solo le coppie).

Negli ultimi due anni anche nel nostro Paese si è rintervenuti in materia, con due provvedimenti – le leggi 10 novembre 2014, n. 162 e 6 maggio 2015, n. 155 – con cui, in breve, si è voluto “semplificare tempi e procedure”, prevedendo la possibilità di procedere in Comune e senza l’ausilio di un legale. Non una grande novità, si potrebbe commentare, pensando alla sopra citata Russia comunista dove bastava mandare una raccomandata, ma la pubblicità e i giubili dei notori turboliberisti sono stati enormi. More solito, ad una pubblica opinione disinformata ed eterodiretta nell’era della post-verità, sono stata taciute le criticità insite nei nuovi provvedimenti, che hanno già portato ad un ingolfamento degli Uffici comunali e ad un ricorso – vinto – al TAR da parte dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF), il tutto come già previsto ed illustrato.

Mentre, così, in Italia aumentano le file agli sportelli URP, si alimenta il contezioso e si blocca la Giustizia Amministrativa con circolari azzardate, e per questo si ringrazi una riforma ormai rivelatasi più dannosa che inutile, la Francia ci consegna una dimostrazione pratica dell’ennesima occasione perduta del nostro Paese. Mi riferisco, infatti, alla nuova possibilità, consacrata da una legge in vigore dal 1 gennaio 2017, che permette, Oltralpe, di divoraziare consensualmente innanzi ad un Notaio. La procedura prevede – giustamente – l’assistenza obbligatoria dei due coniugi da parte di legali di fiducia (al fine di tutelare la parte economicamente e psicologiamente più debole), che preparano la bozza di accordo – vertente anche sugli aspetti patrimoniali – che viene poi inoltrata al Notaio autenticante il quale, previo il decorso di un termine di due settimane al fine dei dare agli attori un’ulteriore periodo di riflessione, consacra lo scioglimento del matrimonio. Il tutto con l’ennesima riduzione dei tempi (già modestissimi, rispetto alle ere tricolori: circa due mesi e mezzo) e dei costi a carico della collettività (ed anche dei singoli: il Notaio incaricato – da tariffa, che in Europa esiste praticamente ovunque – riceverà un compenso di poche decine d’euro).

Ma facciamoci del male (per citare Nanni Moretti) e confrontiamo la nuova normativa francese alla zuppa giuridica italiana in materia. Con il semplice intervento del Notaio e l’obbligo dell’assistenza dei legali i nostri cugini hanno risolto il problema della tutela del soggetto debole e della conservazione degli originali. A Parigi hanno altresì ben chiaro che gli enti locali e i loro dipendenti devono occuparsi di scuole, strade, spazi pubblici e non liti coniugali; così mentre in Italia i nostri sindaci si vedono tagliate le risorse e accresciuti i compiti, le municipalità da Marsiglia a Calais possono decidarsi a tempo pieno ai problemi delle proprie comunità. Mentre il TAR Lazio con la sentenza 7 luglio 2016 n. 7813, e il Consiglio di Stato con il provvedimento 26 ottobre 2016 n. 4478, circoscrivevano – smentendo la circolare n. 6 del 24 aprile 2015 del Ministero dell’Interno – la portata dell’art. 12 della legge 10 novembre 2014 n. 162 agli accordi di natura non strettamente patrimoniale (sulla cui definizione deflaglerà il contenzioso), il governo di Hollande (ma pare l’idea fosse nata ormai dieci anni fa da un Nicolas Sarkozy alle prese con il non facile divorzio da Cecila – ora – Attias) risolve con facilità il problema devolvendo tutto al controllo di un soggetto terzo ed imparziale quale il Notaio. Là dove la politica italiana ancora agita lo straccio dell’abrogazione della tariffa quale bandiera della concorrenza, la Francia ci insegna come proprio la previsione – con norma dello Stato – di un compenso predeterminato garantisce il cittadino, che ha costi certi – e modesti, come questa vicenda insegna – e professionisti di cui può fidarsi.

Da italiano che ama la Repubblica e che veramente pensa – come ripeteva Gianni Agnelli, citando altri – che “Right or wrong my country“, duole dovere, per l’ennesima volta, guardare ammirato e rammaricato ad un’iniziativa di un nostro partner europeo che poteva essere nostra. Il problema italiano non sono – come qualcuno cerca di spacciare – le riforme non fatte, ma quelle fatte male. L’unico auspicio è, in tema di divorzio, che veramente si guardi all’Europa (sempre citata e mai con puntualità) e si superino, prendendo spunto dal modello francese, le criticità della nostra recente normativa, per giungere ad una semplificazione che sia a vantaggio del Paese e non rappresenti l’ennesimo smantellamento dello Stato di diritto.

Fabio Cosenza

Notaio

0 commenti