Ultimi – o così pare – decreti per le unioni civili

da | 15 Gen 2017 | famiglia

Nell’Italia fascista a piazza Venezia l’ufficio del mappamondo aveva sempre la luce accesa, in modo che il popolo sapesse che il Duce era all’opera anche di notte per il Paese, fra costruzione dell’Impero, battaglie del grano e bonifiche pontine. Nella nostra – più morigerata – Repubblica, il premier Paolo Gentiloni, ricoverato ed operato d’urgenza, fugge dall’ospedale per presiedere il Consiglio dei Ministri che promulga i decreti attuativi delle unioni civili; come cambiano forme e priorietà tricolori.

Battute e aneddoti a parte, pare sia finalmente giunto a conclusione il lungo percorso iniziato lo scorso maggio con la definitiva approvazione del “ddl Cirinnà”, con cui entravano nel nostro ordinamento le unioni civili. Dalle prime iniziali perplessità, poi subito confermate, non si è mancato di sottolineare le tante criticità che costellavano un testo frettoloso costruito più sugli umori di piazza che con i manuali di diritto. Ora, con tre decreti attuativi si è posta fine a questa fase transitoria cercando di dare maggiore praticità – con uno sguardo al diritto internazionale privato e non senza qualche spunto più scenico – all’intera materia; di seguito un quadro riassuntivo.

Il primo aspetto sulla cui utilità fattuale è lecito nutrire più di un dubbio concerne l’equiparazione alla disciplina relativa ai matrimoni contratti in stato di pericolo (in breve: per nave o per cielo, in occasione di disastri). Oltre il romanticismo e una certa dose di fantasia si confida – per la salute degli innamorati coinvolti – che le occasioni sul punto siano rare. Di certo maggiore impatto, invece, correndo sempre sul filo della piena sovrapponibilità con la disciplina prevista per il matrimonio, è il riconoscimento della possibilità di delegare le funzioni di Ufficiale dello Stato Civile da parte del Sindaco. La questione già alimentava polemiche fra amministratori contrari che invocavano l’obiezione di coscienza e pasdaran della nuova normativa che contestavano omissioni d’atto d’ufficio. Ora il Sindaco difensore del matrimonio tradizionale potrà togliersi dall’impaccio lasciando l’onere di celebrare ad altri, anche privati cittadini (Notai compresi).

Un punto su cui i decreti sono intervenuti recependo le segnalazioni di prassi e dottrina (ed anche in questa modesta sede si era data evidenza alla circostanza) concerne modifiche al cognome e codice fiscale. La legge sulle unioni civili – infatti – permette di aggiungere al proprio cognome quello del partner; le conseguenze, a cascata, sull’identità anagrafica (e conformità di pubblici registri) rischiavano di essere severe. Si è così chiarito che è possibile aggiungere il cognome, ma ciò non ha rilevanza per il codice fiscale, che rimane quello precedente all’unione, esattamente come avviene per i coniugi.

Con un occhio all’estero si è invece deciso che – laddove uno dei contrenti sia un cittadino straniero – per procedere all’unione civile non sarà necessario il nulla-osta dal paese d’orgine ma un semplice certificato di stato libero. La scelta nasconde il tentativo di agevolare i cittadini di stati che non riconoscono o anche perseguono le unioni omosessuali, garantendo pertanto al richiedente una certa riservatezza. Si deve confidare che a questa ricostruzione tecnicamente ineccepibile si aggiunga una certa cautela, da parte degli interessati, in sede di viaggi e trasferimenti all’estero in generale ed in determinate località in particolare. Per “sanare”, invece, lo status degli italiani che, impazienti, si erano sposati all’estero è stata previsto – ma solo per i nostri connazionali – il riconoscimento del vincolo nel nostro Paese con gli effetti dell’unione civile.

Anche nelle aule di giustizia l’equiparazione fra matrimonio tradizione e unione civile ha visto un ampio riconoscimento. Sia in ambito penale (ad esempio per le aggravanti in caso di omicidio) che civile (si veda la capacità di testimoniare in un procedimento che veda protagonista la propria dolce metà) fra contraenti da un lato e moglie e marito dall’altro cade ogni differenza: la legge pare proprio uguale per tutti. E scrivo “pare” perché almeno su un istituto la nuova normativa ancora si differenzia. Si tratta del divorzio, che per il matrimonio deve passare preventivamente per la separazione, mentre in caso di unione civile può essere attivato direttamente, e senza ricorrere al Giudice (basta darne comunicazione all’Ufficiale di Stato Civile e raccomandata – ricorda qualcosa? – a controparte), con un termine di attesa trimestrale.

In breve, le norme attuative meritano sicuramente una positiva attenzione perché intervengono a risolvere alcune criticità – soprattutto pratiche – frutto di una disciplina frettolosa e mal scritta. Perplime notare come l’Italia – anche nella produzione legislativa – sia il Paese dell’approssimazione e dell’emergenza (prima, in ritardo, faccio qualcosa, poi vedo come sistemarlo) ma non sarà questo lamento a cambiare le cose. Da un punto di vista esegetico non si può che sottolineare come i provvedimenti usciti dal Consiglio dei Ministri costituiscano un ulteriore attestato a favore dell’equiparazione fra matrimonio ed unione civile, con una sconfitta, anche in punto di diritto, di quelle forze politiche che contro ciò si erano battute; ma questa rischia di diventare una valutazione “di Palazzo” e non da giurista e pertanto mi arresto. Delude enormemente – ma non vi erano, purtroppo, aspettative diverse – constatare come si sia persa l’ennesima occasione per rivedere, ed arricchire, l’intera materia, in tema di divorzio (come da ultima analisi sulle innovazioni in terra di Francia), di pubblicità e conservazione dei patti di convivenza, dei controlli, ed in generale – volendo volare più alti – di sussidiarietà da parte del privato – pubblico ufficiale rispetto agli enti locali privi di risorse. Senza un più ampio intento – ed intervento – riformatore le unioni civili porteranno probabilmente più diritti, ma anche più costi: e a pagarli sarà l’intero sistema Italia.

Fabio Cosenza

Notaio

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