Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

da | 5 Mar 2017 | notariato, politica

Nel suo piacevole e puntuale romanzo storico “I giorni del potere” ambientato nell’antica Roma del crepuscolo della Repubblica, Colleen McCullough fa congedare dalla vita l’anziano senatore Caio Giulio Cesare (nonno di..), affetto da un cancro alla gola, con un auto-inflitto colpo di gladio. Pare che i tumori fossero ampiamente diffusi nell’aristocrazia romana – complice, secondo alcuni, un eccesso di piombo nei sistemi di distruzione dell’acqua – e che il suicidio rappresentasse, anche in questo caso, oltre quello più noto delle sventure politiche e militari, la soluzione più diffusa.

Sono passati i secoli e la medicina ha – fortunatamente – fatto enormi passi in avanti mentre – almeno nel nostro Paese – ancora si è fermi e ci si divide ferocemente, come universalmente noto, circa la possibilità e modalità da parte del malato di autodeterminarsi relativamente a fine vita e trattamenti sanitari connessi. La cronaca di questi giorni, in particolare, con la vicenda di Fabiano Antoniani, ha riportato l’attenzione mediatica sul tema, con – si permette di dire – un eccesso di valutazioni e una carenza di fatti, ed una politica che, in ordine sparso ed in ritardo, rincorre e strattona l’opinione pubblica.

L’unico risultato concreto pare, ad ora, l’approdo alla Camera per il prossimo 13 marzo del testo di legge disciplinante il cosiddetto “testamento biologico”, ossia un documento con cui dare indicazioni vincolanti circa “il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali“. La proposta, tuttavia, già divide – politici ed anche operatori del diritto – e nulla pare aggiungere in via determinante allo stato attuale dell’arte, dove giuristi e giurisprudenza che hanno già provveduto a colmare, nei limiti di legge, il vuoto normativo.

Infatti, sono già diffuse – ad esempio a Bologna il Consiglio Notarile in coordinamento con il Comune ha proposto un elenco di Notai disponibili – dichiarazioni anticipate con cui illustrare le proprie volontà mediche. Non solo: l’art. 408 Codice Civile, permettendo di designare anticipatamente il proprio possibile futuro amministratore di sostegno, include la possibilità di tracciare le linee della “propria assistenza” in caso di malattie degenerative o eventi tali da essere ridotti ad uno stato vegetativo. In materia – dando ampio riconoscimento al diritto di nomina e di disciplina dei propri futuri trattamenti – si espresse in due distinti provvedimenti il Tribunale di Modena nel 2008. Tuttavia, sul punto, la Corte di Cassazione, con sentenza 20 dicembre 2012, n. 23707, ha ricondotto la possibilità di nomina dell’amministratore di sostegno al manifestarsi della condizione di infermità o incapacità della persona: in breve, non è possibile la nomina preventiva, ma nulla – ovviamente – toglie alla possibilità – normativamente prevista – della designazione ex art. 408 Codice Civile.

In breve, cosa può aggiungere la nuova legge in discussione (se rispecchierà le indiscrezioni che circolano sulla stampa) all’attuale quadro normativo? A parere del sottoscritto nulla di risolutivo, anche alla luce di alcune criticità sistematiche già evidenti. In primo luogo risulta estremamente fuorviante il rinvio all’istituto testamentario, esprimendo questo la propria piena efficacia per definizione nella fase successiva al decesso, e non precedente. Sarebbe pertanto più puntuale parlare – soprattutto in ipotesi di pazienti in stato vegetativo, che hanno richiesto non si proceda alla continuazione di terapie mediche ovvero espressamente invocato l’eutanasia – di un contratto di mandato: io, mandante, incarico te mandatario di procedere alla mia soppressione o al cessare i trattamenti sanitari al verificarsi di una serie di circostanze. Ma in questo caso non si può non ricordare come il potere di rappresentanza venga a mancare in caso di incapacità sopravvenuta del rappresentato; ed è evidente che una persona in stato vegetativo sia incapace. Volendo essere brutali, con la nuova proposta, la procura rilasciata da una persona in coma per vendere casa non sarebbe utilizzabile ma la stessa potrebbe vedersi – legittimamente – staccarsi le macchine che la tengono in vita, con una mostruosa contraddizione all’interno dell’ordinamento. Ancora, ci si deve interrogare sul tema della disponibilità dei diritti, in primis quello alla vita. E’ pure vero che il principio viene da più parti – anche autorevoli – rivisitato, richiamando anche gli artt. 13 e 32 della Costituzione, come diritto – anche – alla morte, ma il dibattito non può che procedere verso un ulteriore quesito: se il diritto alla vita diviene disponibile (e quindi posso non solo decidere di morire, ma chiedere che sia lo Stato a procedere materialmente in tal senso) perché fermarsi lì? In termini – chiaramente – provocatori perché escludere, ad esempio, la commerciabilità del diritto alla liberà personale? Se posso rinunciare alla vita – in parallelo – nulla ormai osta ad escludere la vendita di me stesso: la schiavitù non può fare meno paura della morte. Qui mi fermo perché non voglio entrare in dibattiti politici ma solo sottolineare – ove vi fosse ancora necessità – l’assoluta delicatezza del tema e la – a mio parere – inconciliabilità con una totale devoluzione alla mera sfera privatistica.

Per i motivi di cui sopra si teme anche il nuovo risveglio del legislatore in materia non possa essere decisivo. E’ evidente la necessità – per chi, come si il sottoscritto, crede nell’attivo e propositivo intervento dello Stato – di contemperare due principi: l’autodeterminazione del singolo e la tutela del diritto alla vita. I meccanismi attuali – dichiarazioni anticipate autenticate, designazione amministrazione di sostegno, provvedimenti dell’autorità giudiziaria – scontano il limite di essere frammentari e non disciplinati (quindi potenzialmente oggetto di lungo contenzioso) ma offrono l’indiscutibile vantaggio di consegnare al privato cittadino la possibilità di anticipare la propria volontà – con un’attestazione di pubblica fede tutelante e piena – ed ad un soggetto terzo pubblico – la magistratura – il potere di controllo successivo ai fini del momento “esecutivo”. L’unico correttivo che si rende necessario risiede nella puntuale definizione normativa del fenomeno per ridurre gli spazi di interpretazioni e polemiche e dargli piena cittadinanza all’interno del nostro ordinamento.

Non si può – infine – nascondere come, in ogni caso, residuino a vario titolo tre elementi di criticità su cui soffermarsi. Il primo concerne la portata dell’intervento richiesto, che dall’interruzione dei trattamenti sanitari può giungere (ed è il caso di questi giorni) fino all’eutanasia. Questo, tuttavia, è un tema prima politico che giuridico e spetta quindi al legislatore fissare dei paletti entro i quali muoversi. In secondo luogo va valutata la pubblicità e la conoscibilità delle dichiarazioni anticipate. Rischia di essere infatti mal pesante ma non peregrino temere una diversa attenzione e disponibilità ospedaliera rispetto al decorso – a breve o lungo periodo – di un paziente di cui è nota la volontà o meno di perseverare in trattamenti terapeutici. Infine, non si può che registrare una rischiosa apertura dei soggetti incaricati di ricevere il cosiddetto “testamento biologico” così come prospettata dall’attuale testo in discussione, che inserisce fra questi anche i medici. Premesso che l’intervento di un medico è sicuramente utile nell’eventualmente meglio disciplinare in concreto le varie ipotesi sanitarie, l’emergere di una condizionabilità dello stesso è un elemento da valutare: fra tagli alla sanità e sempre meno capacità di spesa pubblica l’attenzione per la vita del singolo potrebbe cedere rispetto alla – comprensibile – volontà di destinare risorse alla pluralità dei pazienti.

Fabio Cosenza

Notaio

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