Chi vende un immobile può realizzare una plusvalenza immobiliare, cioè un guadagno tassabile. Si tratta della differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto (eventualmente rivalutato e maggiorato delle spese documentate).
La plusvalenza si genera nei casi tipici previsti dalla legge:
quando si rivende un immobile entro 5 anni dall’acquisto, salvo che sia stato adibito ad abitazione principale del venditore o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo;
quando si cede un immobile ricevuto per donazione e non sono trascorsi 5 anni dall’acquisto da parte del donante;
quando si vende un immobile ricevuto per successione, la plusvalenza non è mai dovuta.
La legge consente di tassare questo guadagno in due modi:
con le aliquote IRPEF ordinarie, inserendo la plusvalenza nella dichiarazione dei redditi;
con un’imposta sostitutiva fissa del 26%, se si sceglie questa opzione al momento del rogito notarile.
Sorge allora un dubbio pratico molto frequente: se al momento del rogito non ho scelto l’imposta sostitutiva, posso farlo in seguito, con un secondo atto?
La risposta è no.
L’imposta sostitutiva è stata introdotta per semplificare gli adempimenti fiscali: invece di inserire la plusvalenza in dichiarazione e assoggettarla alle aliquote progressive IRPEF (che possono arrivare al 43%), il venditore può pagare un’imposta fissa del 26% direttamente al momento dell’atto.
Il meccanismo è semplice:
il venditore dichiara davanti al notaio di voler optare per l’imposta sostitutiva;
il notaio provvede al versamento all’Agenzia delle Entrate e a comunicare l’opzione.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito in più occasioni, e in particolare con la Risoluzione n. 143/E del 21 giugno 2007, che questa opzione deve essere esercitata contestualmente all’atto di compravendita.
Non è ammesso stipulare un secondo atto successivo per “recuperare” l’imposta sostitutiva:
l’opzione è valida solo se dichiarata al momento della cessione;
deve esserci contestuale versamento della provvista al notaio;
un atto tardivo non produce alcun effetto.
E allora cosa accade se in sede di atto di compravendita il venditore non opta per l’imposta sostitutiva e il contestuale versamento del relativo 26% al notaio?
Se non si sceglie l’imposta sostitutiva al momento del rogito, la plusvalenza dovrà essere tassata come reddito diverso:
va inserita nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o Redditi PF);
viene tassata con le aliquote IRPEF progressive in base al reddito complessivo;
può comportare un’imposta superiore al 26%, specie per chi ha redditi medio-alti.
In questi casi non esiste rimedio: l’unica via resta la tassazione ordinaria.
In conclusione diventa quindi fondamentale valutare fin dalle trattative l’eventuale incidenza della plusvalenza nel contesto della vendita e confrontarsi (in anticipo) con il proprio commercialista.
Il mancato versamento della plusvalenza al notaio può infatti comportare in sede di dichiarazione dei redditi (l’anno successivo) un esborso non banale senza possibilità di invocare l’applicazione dell’aliquota del 26% e – come chiarito dall’Agenzia delle Entrate – di una scelta successiva in tal senso.
Sto vendendo un immobile che non ha una rendita catastale perché è in corso di costruzione. Chi lo acquista porterà a termine facendo dei lavori edili e di conseguenza lo accatastera’. Da un punto di vista fiscale la plusvalenza verrà calcolata al momento dell’atto di vendita od al momento dell’immissione al possesso del compratore. Ed in ogni caso verranno valutate le spese effettuate dal compratore?
La plusvalenza è calcolata su valori di acquisto e vendita relativi alla parte venditrice, sono irrilevanti il valore catastale, l’immissione nel possesso e le spese effettuate dalla nuova parte acquirente.