Inseguivano investimenti e hanno creato incertezza

da | 25 Apr 2017 | notariato, politica

Regno Unito e Francia potevano scegliere fra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra“, è una nota frase – dal contenuto terribilmente profetico – pronuncia da Winston Churchill all’indirizzo di Neville Chamberlain a seguito dei cosiddetti Accordi di Monaco del 1938. Certi paragoni possono sembrare forti – soprattutto in data odierna, ricorrenza della Liberazione – ma di certo hanno la necessaria incisività per affrontare con il dovuto spirito critico l’art. 57 del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, proprio ieri pubblicato in Gazzetta Ufficiale (la cosiddetta “manovrina”).

Detta disposizione – in breve – estende a tutte le SRL (più precisamente alle PMI, ma l’ambito di applicazione ha un’ampia coincidenza) una serie di norme contenute originariamente nel decreto legge 18 ottobre 2012 (poi convertito in legge 17 dicembre 2012 n. 221) destinate esclusivamente alle start-up innovative. In particolare si tratta della possibilità di emettere categorie di quote con diritti patrimoniali e/o amministrativi che derogano alla disciplina ordinaria (con particolare riferimento all’art. 2468 Codice Civile) nonché di proporre al pubblico – attraverso portali on-line – la sottoscrizione e/o l’acquisto di quote della società ovvero di altri strumenti finanziari partecipativi. Si apre inoltre la porta alle operazioni sulle proprie quote (su tutto: prestiti e garanzie varie) laddove finalizzate alla realizzazione di piani di incentivazione per dipendenti, amministratori o anche collaboratori esterni. Infine, si rappresenta incidentalmente come sia stato ampliato il periodo di durata delle agevolazioni per le start-up innovative, esteso ad anni 5 (dai 4 precedenti).

Un primo sguardo complessivo alle novità brevemente illustrate non può che rilevare il netto avvicinamento che il legislatore sta compiendo fra SRL e SPA, con particolare riferimento agli strumenti destinati alla “raccolta di capitale”. Credo che ormai sia superato parlare di deroghe alla normativa ordinaria per quanto attiene alle start-up innovative: queste – e la loro disciplina – rappresentano semplicemente l’anticipazione di modelli che inesorabilmente trovano successiva generalizzata estensione (e anche laddove si siano rivelati non di successo o addirittura fallimentari per l’ordinamento: vedi le SRLS su moduli standard strumento per il riciclaggio o proprio i portali di crowfunding che non decollano). Ancora, è sempre più marcato il fenomeno – già in nuce nella riforma del diritto societario – di equiparazione, da un lato, delle SRL alle SPA, e dall’altro di differenziazione, nell’ambito di queste ultime, tra quotate e non quotate, con le prime sottoposte a – sulla carta – ben più rigidi controlli (consci del noto rischio che Giolitti ben riassunse nella celebre “Le regole si applicano con i nemici e si interpretano per gli amici“).

La motivazione di fondo con cui il legislatore procede a tappe forzate in questo percorso è sempre la medesima: convogliare liquidità verso il mondo delle imprese (prima innovative, ora generalizzate). Purtroppo, ancora una volta, un medico incapace scambia il sintomo (la mancanza di risorse) per la malattia. Un sistema Paese sano, infatti, vede un unico principale protagonista del mondo del credito e della sua erogazione: le banche. In un contesto “normale”, un’impresa si rivolge al proprio istituto di fiducia, presenta un progetto, lo correda con un business-plan, presta garanzie di solidità e ottiene i fondi necessari. Laddove – per i motivi più vari – non giungono i risultati sperati in parte la banca soffrirà del proprio incauto affidamento ed in parte rientrerà aggredendo – in maniera rapida ma equa per debitore ed altri eventuali creditori concorrenti – il patrimonio dell’impresa. Purtroppo questo scenario – che dovrebbe, ripeto, rappresentare la normalità – non è ad oggi possibile in Italia, in quanto l’accesso al credito bancario è diventato per le nostre società di una complessità che rasenta l’impossibile, a causa di un passato – recente e non solo – che ha condotto alla presenza, nei bilanci dei nostri istituti, di una montagna di cosiddetti NPL (non performing loans). A fronte di ciò il nostro legislatore (incapacità? malafede?) non ha affrontato il vero male – e cioé: perché sono maturati questi crediti inesigibili – introducendo – unica soluzione possibile – un regime più rigido che – in ordine sparso.. – decongestionasse il sistema giudiziario per snellire le attività di recupero, sanzionasse più severamente i vertici bancari, dissuadesse i soliti furbi a costituire società-scatole vuote sfruttando la responsabilità limitata, agevolasse la tracciabilità degli assetti proprietari per combattere seriamente il riciclaggio, contrastasse i conflitti d’interesse per cui lo stesso amministratore occupa poltrone sia dove si presta che dove si incassa, ma ha semplicemente ampliato (o cercato di ampliare) il laghetto del risparmio dove fare abbeverare le nostre società assetate di liquidità. Tuttavia per fare ciò si è proceduto nell’unica maniera che la vulgata corrente da anni ritiene possibile: eliminando i controlli. Quindi ora abbiamo sì una pozza ma – come avviene nel deserto del Kalahari durante la stagione secca – in rapida evaporazione e piena di coccodrilli.

In una valutazione d’insieme non si può che evidenziare, richiamato quanto sopra, come – nell’ambito delle società di capitali – si stia sviluppando un sistema strutturato su due binari sempre più paralleli. Da un lato le SRL (o SRLS) con atti costitutivi più o meno standard, utilizzo di strumenti giuridici con ridotta trasparenza, ricorso alle nuove tecnologie declinate solo come deregolamentazione e non come sviluppo; dall’altro SRL capitalizzate e SPA (anche non quotate) strutturate attorno a patti sociali definiti, che non sfuggono ai controlli, protese verso le innovazioni giuridiche ma sempre passando per canali in cui sia palese formazione e riconducibilità delle volontà degli attori. E’ evidente come il primo di questi due mondi sia inesorabilmente destinato ad afflosciarsi su meccanismi – tipici della common-law, do you remember Panama Papers? – dove l’opacità delle transazioni rende impossibile ogni sicurezza ed esclude i relativi protagonisti dai mercati principali. Quale banca finanzierà una SRL con 1 euro di capitale o con quote nella disponibilità di chiunque on-line e con impossibilità di operare un serio controllo antiriciclaggio? Quale grande azienda firmerà appalti o contratti commerciali con la medesima SRL? Quali angel investors daranno il proprio sostegno ad uno start-upper che per primo non ha creduto nel suo progetto costituendo una società utilizzando un modello pre-compilato a (presunto) basso costo e ancora più modesta qualità? Dall’altro lato le realtà che – anche sfruttando strumenti innovativi quali i portali di equity-crowfunding, che non è intenzione demonizzare, se accompagnati da regole “a monte” chiare e formulate nel contesto di un serio controllo di legalità – potranno offrire opportunità serie al mercato, ritagliandosi spazi importanti e relegando i potenziali aspiranti competitori ai margini dell’economia.

In conclusione, parafrasando il Winston Churchill dell’esordio, il Governo poteva scegliere fra finti investimenti ed incertezza delle transazioni: ha scelto i finti investimenti, avrà l’incertezza delle transazioni. I veri problemi dell’equity crowfunding restano la ristrettezza delle risorse economiche del mercato interno e la modesta diffusione dello strumento fra il grande pubblico. Avere ignorato queste due criticità (così come avere voluto confondere il sintomo della difficoltà di accesso al credito con la malattia di un sistema Paese privo di regole) condannerà anche questa ennesima manovrina all’ennesimo fallimento. E fra una settimana, un mese o un anno ci troveremo a commentare il nuovo provvedimento inutile che ancora eliminerà controlli (perché, ne sono rimasti?) riducendo il mercato ad un enorme Far West. Purtroppo pare difficile reagire a livello sistematico, se non alzando senza paure voci di critica e cercando di richiamare i protagonisti della politica e dell’economia alle loro responsabilità. E neppure dà soddisfazione ricordare come su alcuni di questi – vedi “Il Sole 24 Ore” del “Fate presto” – la scure della cronaca (storia pare eccessivo) stia già calando. Non rimane – nell’immediato – che la reazione del singolo imprenditore, che combatte per il Paese ma anche per se stesso e la sua azienda. A lui dobbiamo dire che investire oggi in sicurezza e certezza (che vuole dire: atti costitutivi e patti sociali personalizzati; percorsi di ricorso al mercato condivisi e strutturati secondo un progetto; capitalizzazione della società) vale quanto – se non di più – spendere in prodotti e materiali: è la prima forma di marketing, rivolta agli operatori specializzati (fondi, banche, et coetera..), grazie ai quali innalzare un’idea brillante ad un’azienda di successo.

Fabio Cosenza

Notaio

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