E’ l’ora dei mutui a tasso negativo?

da | 31 Ago 2019 | banche, politica

Uno degli aforismi attribuiti all’imprenditore statunitense Henry Ford recita che “il denaro è come una gamba o un braccio: se non lo usi lo perdi“.

La frase può ben aiutare a comprendere la notizia clamorosa che arriva dalla Germania, dove il membro del consiglio della Bundesbank, Joachim Wuermeling, in un’intervista al quotidiano Stuttgarter Zeitung, rilanciata dall’agenzia Bloomberg, ha aperto alla possibilità che la banca centrale tedesca permetta agli istituti teutonici di prestare denaro – ad esempio per comprare casa – a tassi negativi, restituendo così alla fine il cliente meno di quanto ha ricevuto.

Le dichiarazioni del banchiere hanno ovviamente suscitato enorme interesse e alimentato naturali curiosità: perché accade, come effettivamente funziona un mutuo a tasso negativo e – soprattutto – se potrebbe succedere anche in Italia?

Come sempre, un passo – nel tempo – indietro è necessario. Il fenomeno dei tassi negativi per i finanziamenti bancari (soprattutto: mutui a tasso variabile per acquisto immobiliare) si è già affacciato nel recente passato della finanza europea, ed in particolare all’inizio della crisi economica che ha piegato mondo e nostro continente. La circostanza – che ha interessato alcuni paesi del Nord Europa, in particolare il Belgio – era dovuta alla combinazione di uno spread assai contenuto sommato ad un parametro di riferimento (ad es., ma non solo, l’EURIBOR) che si è progressivamente ridotto fino a diventare – così come è ora – ampiamente negativo. La sommatoria  – in un finanziamento a tasso variabile – determina un valore inferiore allo zero e quindi, paradossalmente, un rimborso da parte del cliente inferiore rispetto a quanto inizialmente ricevuto.

Ma se allora il fenomeno era totalmente involontario e anzi non voluto da parte degli istituti di credito ora, soprattutto per le banche tedesche, si tratta di una scelta ponderata e scientemente perseguita.

La Germania, infatti, soffre (ma soprattutto fa soffrire tutti noi) di un eccesso di liquidità dovuto, in particolare, ad una bilancia commerciale fortemente sbilanciata, avendo conseguito e continuando a conseguire un surplus enorme con proporzionale accumulo di richezza (a discapito dei partner europei in primis e del resto del mondo inoltre).

Tutto ciò ha già determinato tensioni internazionali non banali, con gli USA di Trump che hanno ripetutamente minacciato sanzioni (e anzi, stanno già procedendo) e la sempre timida Bruxelles (quando parla con Berlino) che ha chiesto – ovviamente inascoltata – di ridurre l’avanzo.

Le criticità si stanno però ormai spostando dal piano dei rapporti nazionali a quello interno, a causa di due elementi che caratterizzano attualmente l’economia tedesca. Da un lato abbiamo infatti una forte diseguaglianza reddituale e nella distribuzione della ricchezza, testimonato da due banali dati: il 10% delle famiglie tedesche detiene il 55% della ricchezza nazionale e l’indice di diseguaglianza del reddito (GINI) è pari al 74% circa (in una scala che vede a 100 il punto di maggiore diseguaglianza) rispetto – ad esempio – al 61% italiano. Dall’altro la scarsa propensione dell’elite economica teutonica (e relative istituzioni) all’investimento, che viene parcheggiato in banche, fondi, etc.. e non immesso nuovamente sul mercato.

In breve, la Germania drena denaro da tutta Europa, denaro che scivola in poche tasche e che invece di essere investito o speso finisce per ingrassare conti correnti per (cercare di) vivere di rendita. 

In questo contesto – come sappiamo – la BCE guidata da Draghi ha cercato disperatamente di sostenere gli investimenti, inventandosi il quantitative easing e il whatever it takes, con risultati forse modesti ma almeno apprezzabili che hanno cercato di sostenere la crescita ma anche azzerato i tassi d’interesse. Quest’ultima circostanza, in particolare, ha determinato una situazione per cui alle banche tedesche depositare soldi alla BCE.. costa (circa lo 0,40%: in pratica ogni 100 euro che gli istituti teutonici lasciano in cassa a Francoforte sul Meno, nelle casseforti di quello che era l’ex mercato all’ingrosso, perdono quaranta centesimi). La situazione è ormai giunta ai così estremi limiti e una nuova crisi si sta forse affacciando sull’Europa che anche i banchieri tedeschi si sono convinti che è necessario fare circolare denaro piuttosto che tenerlo bloccato pagandoci interessi negativi.

Ma – si potrebbe obiettare – non conviene comunque agli accumulatori seriali di Berlino vittime della loro stessa paranoia per il risparmio e terrore dell’inflazione pagare un modesto 0,4% alla BCE piuttosto che riconoscere interessi negativi ai propri clienti correndo inoltre il rischio (potenziale) di eventuali sofferenze e mancate restituzioni?

In verità, bisogna sottolineare, il rischio d’impresa, in questo caso, è modesto e ampiamente coperto da altri fattori. In primis l’invito arriva direttamente dalla Bundesbank, a testimonianza di come anche i vertici del sistema bancario tedesco si siano resi conto di quanto critica sia la situazione. In secondo luogo ogni pratica di mutuo, al netto del tasso negativo, comporta per il cliente spese d’istruttoria, polizze, un’apertura di conto corrente ed in breve tutta una serie di oneri che determinano comunque un margine positivo per l’istituto. Ancora, si persegue l’obiettivo di fidelizzare il mutuatario a cui poi vendere.. altro, fra finanziamenti, assicurazioni, prodotti vari, prassi ormai diffusa anche nel nostro Paese, con le banche sempre più somiglianti a supermercati. Infine, i tassi negativi saranno proposti a chi ha più che solide garanzie, quindi immobili capienti, redditi sicuri, lavori certi; in breve giovani, famiglie monoreddito, mutui al 100%, imprese all’inizio e tutte le posizioni più a rischio resteranno comunque fuori.

Lo scenario interessi negativi in realtà è già iniziato fuori dalla Germania, e precisamente nei paesi nordici. La finlandese Norda ha in previsione un mutuo a venti anni a tasso zero mentre in Danimarca la Jyske Bank sta già propendo mutui decennali a -0,50% (esatto: meno..). Il tutto nel contesto di un mercato immobiliare locale in enorme sviluppo e con il rischio di alimentare l’ennesima bolla.

Ma veniamo all’Italia e alla domanda che più interessa i nostri consumatori: è possibile che i tassi negativi arrivino anche nel nostro Paese? O anche, si può ipotizzare il ricorso a mutui erogati a tali condizioni da banche straniere?

La mia personale risposta è negativa: in Italia non ci sono le condizioni in tal senso.

Già storicamente i nostri istituti tendono ad inserire nelle proprie minute contrattuali clausole cosiddette “floor”, cioé che prevedono un tasso minimo sotto il quale non è possibile scendere.

La concorrenza fra le banche ha ormai ridotto in misura modesta spread e i margini di guadagno per i finanziamenti ipotecari ed immaginare un ulteriore calo non è realistico.

Le condizioni che stanno conducendo gli istituti tedeschi, danesi o finlandesi verso quella prospettiva non sono presenti nel nostro Paese, ove non c’è un sensibile surplus commerciale, il mercato immobiliare è fermo e i clienti che possono offrire garanzie tali da annullare il rischio sono decisamente pochi.

In conclusione, per l’Italia sicuramente non è – e temo non sarà neppure nel breve e medio periodo – tempo di interessi negativi. Ma alla luce di quanto sopra illustrato e considerato cosa realmente presuppongono i tassi negativi (riepilogo: scarsi investimenti; mancata ridistribuzione della ricchezza; bolla immobiliare; eccessivo surplus commerciale; predominio di un Paese sui restanti partner) anche per il resto d’Europa speriamo duri poco perchè cosa occorre ora è – da parte delle elite – non risparmio o speculazione ma investimenti; ricchi di Germania (ma anche d’Italia) dimostrate di credere nella crescita, di credere nell’Europa e tirate i soldi fuori dal materasso!

Fabio Cosenza

Notaio

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