Prestiti ed equity

da | 20 Apr 2020 | fisco, leggi, Senza categoria, societario

La crisi sanitaria sta lasciando il posto – come già ipotizzato – ad una generalizzata situazione di contrazione economica, con crollo del PIL e aumento del debito pubblico a due cifre. In questo scenario nel breve periodo i più colpiti sono autonomi e imprese, costretti a fronteggiare un repentino crollo delle entrate.

La risposta dello Stato, in Italia, si è strutturata – nel Decreto Liquidità n. 23 dell’8 aprile 2020, ad integrazione del precedente Decreto Cura Italia – nella previsione sulla previsione di due differenti canali di garanzia per le imprese che fanno richiesta di un finanziamento.

Il primo è quello del FONDO CENTRALE DI GARANZIA (art. 13 Decreto Liquidità), che interviene a sostegno di finanziamenti con durata massima di 72 mesi e prevede tre tipologie a seconda delle caratteristiche e delle dimensioni dell’impresa e vi è la possibilità di rinegoziare il finanziamento in caso di preesistente prestito.

La soglia iniziale è quella dei finanziamenti fino ad euro 25.000, rivolti a micro, piccole e medie imprese, persone fisiche esercenti attività di impresa, arti e professioni.

In questo caso la garanzia del Fondo Centrale di Garanzia copre il 100% degli importi, è pubblica e gratuita.

Il periodo di preammortamento può raggiungere i 24 mesi e i tassi di interesse e commissioni sono a copertura dei costi di istruttoria e gestione dell’operazione di finanziamento.

Il finanziamento non può superiore al 25% dei ricavi del 2019 come da dichiarazione fiscale, dichiarazione dei redditi, ultimo bilancio ovvero autocertificazione che attesta il totale dei ricavi, con un tetto massimo comunque di euro 25.000.

Le modalità di concessione sono semplificare, con il richiedente che deve inviare per posta elettronica (anche non certificata) all’istituto di credito che erogherà il finanziamento: a. un apposito modulo da scaricare sul sito www.fondidigaranzia.it; b. un’autocertificazione attestante i danni ai ricavi da Covid-19; c. un documento di riconoscimento; ultimo bilancio, dichiarazione dei redditi o autocertificazione attestante i ricavi effettivi del 2019; d. attribuzione della partita IVA e la Banca erogherà il prestito senza attendere l’autorizzazione del Fondo di Garanzia.

Il secondo scaglione è quello dei finanziamenti fino ad euro 800.000, indirizzati a PMI con fatturato non superiore ad euro 3,2 milioni.

In questo caso il Fondo Centrale di Garanzia copre fino al 90% dell’importo, con la possibilità di arrivare al 100% con l’intervento di un Confidi.

L’importo del finanziamento rimane non superiore al 25% del fatturato dell’anno 2019.

Per godere di questa garanzia il richiedente deve inviare per posta elettronica (anche non certificata) all’istituto di credito che erogherà il finanziamento: a. un’autocertificazione attestante i danni ai ricavi da Covid-19; b. un documento di riconoscimento; c. ultimo bilancio, dichiarazione dei redditi o autocertificazione attestante i ricavi effettivi del 2019; d. richiesta di ammissione del finanziamento al Fondo di Garanzia.

Infine vi sono i finanziamenti fino ad euro 5 milioni, riservati alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 500.

Anche in questo caso la garanzia copre il 90% dell’importo e la richiesta è limitata a: 25% del fatturato dell’anno 2019, doppio delle spese salariale per il 2019 o l’ultimo anno disponibile; fabbisogno per i costi del capitale di esercizio e di investimento nei successivi 18 mesi (per le pmi) o nei successivi 12 mesi (imprese con dipendenti aventi numero di dipendenti inferiore a 500) da dimostrarsi con apposita certificazione.

All’istituto di credito deve inviare per posta elettronica (anche non certificata) un documento di riconoscimento e la richiesta di ammissione del finanziamento al Fondo di Garanzia.

Il secondo canale è invece quello della GARANZIA SACE SPA (art. 1 Decreto Liquidità), destinato – con scadenza 31 dicembre 2020 – alle imprese che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo di Garanzia

In questo caso si tratta di garanzia su finanziamenti bancari concessi:
– per una durata di non oltre 6 anni;
– con preammortamento fino a 24 mesi;
– alle imprese non rientranti tra le categorie di imprese in difficoltà al 31 dicembre 2019;
– il cui importo non supera il maggiore importo tra il 25% di fatturato dell’anno 2019 (come da bilancio o dichiarazione fiscale) e il doppio dei costi del personale relativo all’anno 2019 (come da bilancio o autodichiarazione) ovvero dei costi del personale dei primi due anni di esercizio (per imprese attive dal 31 dicembre 2018);
– dietro l’impegno da parte dell’impresa di non approvare la divisione dei dividendi nei 12 mesi successivi all’erogazione del finanziamento o il riacquisto di azioni nel corso del 2020, nonché di gestire con i sindacati i propri livelli occupazionali.

La garanzia è a prima richiesta e copre i finanziamenti rilasciati dopo l’entrata in vigore del Decreto Liquidità e deve sostenere costi del personale, investimenti o capitali come dichiarato dal rappresentante legale dell’impresa, con questi limiti::
1. pari al 90% per imprese con dipendenti in Italia il cui numero non supera i 5.000 e il cui fatturato non è superiore ad euro 1,5 miliardi. Vi è una priocedura semplificata per l’erogazione del finanziamento (articolo 1 comma 6 del decreto liquidità).
2. pari all’80% per imprese aventi un numero di dipendenti maggiore a 5.000 e fatturato compreso tra 1,5 e 5 miliardi di euro.
3. pari al 70% per imprese aventi fatturato superiore ai 5 miliardi di euro.

Dopo tanti dati mi permetto una valutazione nel merito.

L’aiuto statale è sicuramente importante ma temo non possa essere decisivo. Non voglio schierarmi a favore dei sostenitori dei finanziamenti a fondo perduto in quanto è – a mio parere – evidente come vi siano vincoli di bilancio che limitano l’autonomia dell’Erario. Forse l’Unione Europea concederà i coronabond, forse il MES non è così brutto come lo dipingono, forse la BCE spingerà il whatever it takes fino alla cancellazione dei debiti sovrani, ma ora dobbiamo – soprattutto in una logica emergenziale – ragionare con gli strumenti dell’oggi e non con le sperenze del domani.

Non si può altresì che evidenziare come gran parte delle somme che le nostre imprese (e i nostri professionisti) riceveranno finiranno per ottemperare a scadenze fiscali, per ora solo sospese e rimandate ma che a breve saranno da onorare (anche perché cassa integrazioni, contributi una tantum e redditi di cittadinanza gravano sulle casse pubbliche).

Si tratta, brutalmente, di garanzie su finanziamenti non produttivi, non destinati ad investimenti che possano generare nuova ricchezza, ma banalmente tamponano una situazione emergenziale dall’orizzonte incerto. In breve, stiamo gettando ad un naufrago in mezzo all’oceano un salvagente; forse così non affogherà nelle prossime ore, ma di certo se dista centinaia di chilometri dalla spiaggia più vicina senza una vera zattera non potrà salvarsi.

La strada per dare concrete speranze alle nostre imprese è quella della patrimonializzazione e – sopratrutto – della capitalizzazione, unico strumento che rafforza la società senza creare nuovo debito. 

Ed ecco che in questa visione l’equity crowdfunding rappresenta il canale più rapido, più snello e con maggiore probabilità di successo. Tramite una campagna on-line si rende infatti possibile ampliare la base sociale trovando nuovi investitori che immettano vera liquidità nella società e non semplici finanziamenti da restituire.

Si evidenzia come la capitalizzazione (l’equity) non sia alternativa allo strumento del debito. Anzi, la prima può ben essere al servizio della seconda perché come noto uno dei parametri adottati dal mondo bancario in sede di valutazione del quantum concedere a titolo di finanziamento è spesso l’ammontare del capitale sociale.

Ecco quindi che una società in difficoltà per l’epidemia di COVID-19 può – nell’immediato – usufruire delle garanzie statali sopra ricordate per fare fronte alle prossime scadenze (in primis fiscali) e può – nel breve – lanciare una campagna di equity crowdfunding che consenta di raccogliere risorse (capitale) tale con cui procedere a quegli investimenti capaci di generare il reddito necessario per ripartire.

In breve, lo Stato sta lanciando il salvagente, io – anche, come noto, quale fondatore della piattaforma on-line di equity crowd-funding MYBESTINVEST.IT – cerco di suggerire come costruire la zattera.

Ovviamente una proposta così strutturata può avere successo solo se integrata in un’operazione di sistema, che comprenda, oltre il mondo dell’equity crowd-funding, anche universo bancario ed intervento del legislatore. Lo Stato, in primis, deve sostenere fiscalmente gli investimenti sui portali, andando anche oltre il confine delle start-up innovative, ipotizzando scenari premiali in base a tipo di società, numero di lavoratori assunti, investimenti fatti. Le banche devono invece “essere pronte“, avvicinandosi all’equity crowd-funding in modo da farlo diventare una nuova offerta di investimento per i propri clienti, agevolando altresì l’individuazione degli investitori istituzionali e professionali, nell’ottica della costruzione di una vera e propria community.

Qualcuno ipotizza che l’epidemia da COVID-19 aprirà il mondo ad un percorso di “decrescita”, più o meno felice. Altri teorizzano la fine della globalizzazione e la rinascita del localismo. Personalmente voglio auspicare che si possa guidare il cambiamento – sicuramente difficile e ad oggi, inutile negarlo – drammatico, verso una dimensione diversa, incentrata intorno al concetto di comunità. Comunità intesa non in senso geografico ma valoriale e teleologico, ove ciò che conterà sarà la condivisione di un progetto.

In tal senso – in un contesto disruptive per gli istituti di credito, con la direttiva Psd2 che ormai sta scardinando il rapporto tradizionale con il cliente, sempre più collettore di offerte diverse da fonti diverse – la costruzione, intorno a progetti comuni, di una comunità rappresenta, insisto con la metafora, una vera ancora di salvezza per le banche.

In breve, siamo partiti con piccole imprese ed autonomi in mezzo al mare aggrappati ad un salvagente lanciato dallo Stato; mi sono permesso di segnalare come il salvagente da solo non basti, occorra una zattera e dove poterla forse trovare; ora concludo che questa strada può portare ad una nuova consapevolezza con cui, un domani ormai prossimo, ricostruire anche il mondo del credito. Ora sta a noi scegliere come vogliamo attraversare questa tempesta.

Fabio Cosenza

Notaio

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