L’Agenzia delle Entrate torna sul tema plusvalenza da Superbonus 110 con un’interpretazione che rischia di essere non banalmente costosa per chi vuole vendere casa e l’ha ricevuta per donazione. Piccolo riassunto della materia, già trattata in passato: la legge di bilancio 2024 ha introdotto nel comma 1 lett. b-bis) dell’art. 67 D.P.R. 917/1986 l’estensione del periodo di tassazione della plusvalenza a 10 anni per gli immobili oggetto del Superbonus 110 (art. 119 d.l. 34/2020).
Ma ecco che la risposta ad interpello n. 62/2025 in data 30 ottobre 2025 dell’Agenzia delle Entrate propone un’interpretazione fiscalmente più gravosa. Riassumo in breve la vicenda.
Un contribuente riceve per donazione un immobile dalla propria madre, che a sua volta aveva ereditato il bene. Nell’immobile vengono eseguiti interventi rientranti nel perimetro del SUPERBONUS 110 e per i quali usufruisce delle relative detrazioni. L’immobile non è abitazione principale del contribuente e lo stesso – essendo decorsi meno di dieci anni dagli interventi edilizi – decide di venderlo.
Domanda: scatta la plusvalenza?
Nella risposta ad interpello si presuppone risposta negativa, sulla base della circostanza che l’immobile non è stato acquistato dall’odierno venditore bensì, come indicato, ricevuto per donazione.
La donazione è infatti considerato un atto “fiscalmente neutro” relativamente al possibile emergere di una plusvalenza, anche per un motivo lapalissiano: non viene pagato alcun corrispettivo da considerare quale “base di partenza” su cui calcolare l’eventuale guadagno.
Ed invece l’Amministrazione Finanziaria fornisce risposta positiva – e cioé afferma sussistono i presupposti per l’emersione di una plusvalenza – affermando che la norma fiscale che esclude vi sia reddito imponibile nella fattispecie in oggetto non può essere intepretata estensivamente, avendo natura agevolativa (principio condiviso in ambito tributario).
Si afferma infatti che se la plusvalenza non matura esclusivamente laddove l’immobile sia stato abitazione principale del cedente per la maggior parte del tempo negli ultimi dieci anni (o minor termine di proprietà) oppure in ipotesi di provenienza successoria allora l’acquisto per donazione non è provenienza successoria (e questo nonostante l’equiparazione costante e anche normativa a livello fiscale). Pertanto non essendo tecnicamente la provenienza donativa una provenienza successoria non opera la clausola di esclusione della plusvalenza e questa va pagata.
Si evidenzia come nella vicenda in oggetto non solo la provenienza era donativa ma addirittura l’originaria donante l’aveva ricevuto per successione, ma ciò non salva il contribuente: la provenienza della provenienza è per l’Amministrazione Finanziaria irrilevante.
In attesa di eventuali spunti giurisprudenziali in materia non posso che palesare la mia perplessità, pur riconoscendo che il ragionamento seguito dall’Agenzia delle Entrate ha una sua logicità ricostruttiva.
Il punto critico – a mio avviso – è tuttavia non riconoscere l’equiparazione (che, ripeto, è costante in ambito tributario, basti pensare banalmente al d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, noto proprio come “Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni”) fra provenienza successoria e provenienza donativa ai fini dell’esclusione dell’emersione di un momento impositivo.
Cosa fare quindi ora? Alla luce della risposta ad interpello n. 62/2025 non posso che invitare alla prudenza, evidenziando che il rischio che la plusvalenza venga tassata laddove la provenienza sia una donazione e sono stati fatti lavori nell’ambito del Superbonus 110 è più che presente.
Notaio
					
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