TETTOIA DI COPERTURA

da | 21 Ott 2023 | immobiliare | 0 commenti

I rapporti di vicinato possono essere spesso conflittuali, e proprio questo è il caso – che origina da una tettoia di copertura – da cui origina il presente contributo. Si deve infatti preliminarmente evidenziare come i motivi di doglianza di cui alla recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 8053/2023) vertevano proprio sul ricorso contro un provvedimento di diniego firmato dal competente Responsabile dell’Area tecnica comunale e contro l’ordinanza “per il ripristino dello stato dei luoghi” del Responsabile dell’Area tecnica comunale – Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune competente, avente principalmente ad oggetto una tettoia preposta a copertura di un terrazzo scoperto di un immobile posto al primo piano. Detta tettoia, in particolare, non sarebbe stata rispettosa delle attuali normative edilizie poiché costruita in difformità alla Denuncia di inizio attività presentata.

In base a tale sentenza, la tettoia che si presenti, indipendentemente dai materiali con cui è stata realizzata, in avanzamento rispetto al corpo di fabbrica principale, cioè sporgente tanto rispetto al profilo del fabbricato e ai muri perimetrali, quanto rispetto alla superficie del terrazzo al quale è destinata a fornire copertura, anche laddove abbia una funzione ornamentale, è da considerarsi difforme e quindi suscettibile di sanatoria per ricondurla a conformità rispetto allo stato dei luoghi.  Infatti si arguisce che l’opera in questione, rientrando tra quei manufatti che costituiscono una sporgenza di oltre 1,50 metri, sono in grado di aumentare la consistenza del fabbricato cui accedono, modificandone di fatto il profilo complessivo.

Nel caso di specie – oggetto dell’analisi del Consiglio di Stato – la sporgenza rilevata è di circa 3,50 metri. Non vi è alcun dubbio, quindi, sul fatto che viene modificata in modo significativo la consistenza del fabbricato (si legge “prolunga il cd. ‘filo del fabbricato’, ai fini del calcolo delle distanze”) e dovrà rispettare le normative edilizie in materia, in base alle quali qualsiasi manufatto che incide sulla consistenza del fabbricato deve rispettare una distanza minima di 10 metri dall’edificio prospiciente. 

A nulla quindi vale la considerazione del ricorrente, il quale riteneva di  escludere tale applicazione normativa a quelle opere “puramente ornamentali” (come la tettoia de quo).

Si chiarisce, infine, la differenza di trattamento giuridico tra verande e tettoie, la quale si giustifica per l’innegabile diverso rapporto strutturale tra i due manufatti relativamente all’edificio a cui accedono.

Citando una parte della sentenza, si deve intendere dunque “per ‘veranda’ un volume ricavato dalla chiusura di balconi preesistenti, senza aumentarne la sporgenza e senza dunque alterare la sagoma del fabbricato. Questo significa che i ridetti innesti giammai potrebbero incidere sulla linea perimetrale del fabbricato, il che ne spiega, verosimilmente, l’esclusione dalla regola prevista per gli elementi aggettanti”.

dott.ssa Giulia Lo Cuoco

collaboratrice Studio

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